Corte di Cassazione- sezione I civile - sentenza n. 20260 del 19 settembre 2006
                                                                     

                                                           Svolgimento del processo


Il Banco di X. Spa - sulla premessa che i coniugi Vincenzo Rx e Maria Col. avevano
chiesto ed ottenuto, negli anni 1988 e 1989, due concessioni di credito (qualificate come "prestiti fiduciari"), tacendo che il Rx era stato dichiarato fallito con sentenza del Tribunale di Siracusa del 7 luglio 1981; e che successivamente la banca istante era stata convenuta in giudizio dalla curatela fallimentare per la dichiarazione di inefficacia, ex articolo 44 legge fallimentare, dei pagamenti eseguiti dal Rx in relazione ai predetti prestiti - otteneva dal Presidente del Tribunale di Catania un sequestro conservativo in danno dalla Col. fino alla concorrenza della somma di lire 12.000.000. La misura cautelare, disposta con decreto del 14 gennaio 1991, veniva eseguita lo stesso giorno mediante trascrizione su un immobile sito in Paternò.
Il Banco di X. instaurava quindi il giudizio per la convalida del sequestro e la condanna della Col. al risarcimento dei danni per quanto la banca attrice avesse dovuto eventualmente restituire alla curatela fallimentare; giudizio nel quale la convenuta si costituiva, contestando la fondatezza della domanda.
In corso di causa, il Banco di X. veniva condannato dal Tribunale di Siracusa, con sentenza dell'8 novembre 1993, passata poi in giudicato, al pagamento in favore del fallimento Rx della somma di lire 5.000.000, oltre interesse della domanda, nonché al rimborso delle spese giudiziali, liquidate in lire 2.000.000.
Il Tribunale di Catania, con sentenza del 5 maggio 1998, rigettava tuttavia la domanda risarcitoria della banca, revocando conseguentemente il sequestro conservativo. I primi giudici ritenevano insussistente, nel caso di specie, la violazione dell'articolo 95 della legge bancaria del 1938 (Dl 75/1936, convertito in legge 141/38, e successive modificazioni), denunciata dal Banco di X., rilevando come detta disposizione, nel sottoporre a pena i fatti cosiddetti mendacio bancario, facesse riferimento a comportamenti di tipi esclusivamente commissivo e attenesse, altresì, alle sole concessioni di credito a favore di aziende. Osservava inoltre il Tribunale che non v'era neppure prova che la Col. , all'atto della richiesta, fosse stata a conoscenza dell'avvenuta dichiarazione di fallimento del marito.
Avverso la decisione proponeva appello il Banco di X..
Nel giudizio di appello si costituivano, chiedendo il rigetto del gravame, Giovanni e Rosa Carmela Rx, quali figli ed eredi legittimi della Col., deceduta già nel corso del giudizio di primo grado (il 18 settembre 1997), senza peraltro che tale vento interruttivo fosse stato dichiarato dal suo difensore.
A seguito di ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri figli ed eredi legittimi della Col., la banca appellante chiamava nel processo anche Rosario ed Elena Rx, i quali rimanevano contumaci.
Con sentenza del 6 aprile 2002, in parziale accoglimento del gravame, la Corte d'appello di Catania condannava i Rx, ciascuno pro quota ereditaria, al pagamento in favore del Banco di X. della somma di euro 6.861,13, oltre interessi legali .
La Corte territoriale rilevava che la banca appellante aveva bensì dedotto, in prime cure, che la condotta della Col. - consistita nell'aver dolosamente taciuto l'avvenuto fallimento del marito al fine di ottenere concessioni di credito - comportava, "tra l'altro", la violazione dell'articolo 95 della legge bancaria del 1938, ma che da ciò non poteva affatto desumersi che essa avesse inteso fondare unicamente su detta norma penale la propria pretesa risarcitoria. Quest'ultima poteva essere, di contro, agevolmente ricondotta - così come sostenuto nell'atto di appello - alla generale previsione in tema di illecito civile di cui all'articolo 2043 Cc, con operazione di semplice qualificazione giuridica della domanda che escludeva la configurabilità della preclusione ex articolo 345 Cpc, eccepita dagli appellati.
A prescindere, pertanto, dal rilievo che gli argomenti in base ai quali il Tribunale aveva escluso la violazione del citato articolo 95 della legge bancaria del 1938 non potevano essere condivisi - dato che,per un verso, la denunciata omissione della Col. si era inserita in una condotta sostanzialmente commissiva, consistente nell'esporre alla banca una situazione personale e familiare non rispondente al vero; e, per altro verso, la norma incriminatrice in parola non riguarderebbe la sola concessione di credito ad azienda (come potrebbe desumersi dalla formula alternativa "per sé o per le aziende che amministra", ivi contenuta) - la domanda risarcitoria risultava comunque meritevole di accoglimento in base al citato generale precetto dell'articolo 2043 Cc, essendosi in presenza di una condotta dolosa causativa di ingiusto pregiudizio. Al riguardo, la Corte di merito rilevava, infatti, come la conoscenza da parte della Col. dell'avvenuta dichiarazione di fallimento del marito - che il Tribunale aveva ritenuto non provata - non fosse stata, in realtà, mai contestata dalla convenuta, risultando quindi sostanzialmente incontroversa, e comunque desumibile in via presuntiva a fronte della quotidiana comunanza di vita tra i coniugi.
La Corte d'appello escludeva, per contro, che potesse trovare accoglimento la domanda di convalida dell'eseguito sequestro conservativo, trattandosi di misura cautelare che, in quanto autorizzata anteriormente all'entrata in vigore del Dl 571/94 convertito in legge 673/94, aveva perduto efficacia in forza dell'articolo 4 comma 5 del citato Dl stante la dichiarata inesistenza, ad opera della sentenza impugnata, del diritto a cautela del quale essa era stata concessa, senza che a diversa conclusione potesse pervenirsi in ragione del fatto che l'efficacia esecutiva di tale sentenza era stata sospesa in limine del giudizio di appello con ordinanza presidenziale del 15 giugno 1988.
Dichiarata, quindi, l'inefficacia del sequestro, la Corte territoriale condannava comunque i Rx alle spese del doppio grado del giudizio "per la parte concernente il merito", escludendo - stante la marginalità della statuizione concernente la mancata convalida del sequestro e tenuto conto delle relative motivazioni - che sussistessero ragioni per un diverso regolamento delle spese stesse, al di là dell'esclusione del rimborso di quelle correlabili alla predetta misura cautelare.
Avverso la decisione proponeva ricorso per cassazione Giovanni Rx, sulla base di quattro motivi.
Resisteva il Banco di X. con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato sulla base di un unico motivo, illustrato da successiva memoria.
Con ordinanza dell'11 gennaio 2006, questa Corte ordinava, ai sensi dell'articolo 331 Cpc, l'integrazione del contraddittorio nei confronti di Rosa Carmela Rx, Rosario Rx ed Elena Rx - che erano stati parti del giudizio di appello ed ai quali non risultavano tuttavia notificati né il ricorso principale né quello incidentale - stante la loro qualità di litisconsorti necessari per ragioni processuali in quanto eredi della parte originaria deceduta nel corso del giudizio di primo grado.
Provvedeva all'incombente il solo ricorrente principale, mentre il Banco di X. depositava memoria illustrativa aggiuntiva.
                                                                          Motivi della decisione
1. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 335 Cpc, in quanto proposti contro la medesima sentenza.
2. Con il primo motivo del ricorso principale il Rx denuncia violazione, falsa ed erronea applicazione dell'articolo 102 Cpc, rilevando come, a seguito dell'ordinanza della Corte d'appello di Catania del 9 giugno 2000 - con la quale era stata ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi della Col., diversi dai già costituiti Giovanni e Rosa Carmela Rx - l'appellante Banco di X. avesse notificato l'atto di integrazione ai soli Rosario ed Elena Rx, e non pure ai germani Giuseppe e Salvatore Rx, anch'essi figli ed eredi legittimi della Col., secondo quanto poteva desumesi dal relativo stato di famiglia.
3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione, falsa ed erronea applicazione dell'articolo 345 Cpc, assumendo che la Corte d'appello di Catania non avrebbe potuto accogliere la domanda risarcitoria del Banco di X. basata sull'articolo 2043 Cc, trattandosi di titolo pretensivo fatto valere per la prima volta in appello, in violazione del principio di immutabilità della domanda, secondo quanto peraltro già formalmente eccepito nel detto grado di giudizio.
4. Con il terzo motivo il Rx lamenta violazione, falsa ed erronea applicazione dell'articolo 2043 Cc, nonché omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando che la Corte territoriale abbia basato l'accoglimento della domanda risarcitoria unicamente sulla citata disposizione del Cc, del tutto diversa da quella invocata in prime cure dal Banco di X. - che aveva fatto riferimento, in tale sede, esclusivamente all'articolo 95 della legge bancaria del 1938 - trasformando, inoltre, sulla base di semplici presunzioni, il comportamento della Col., da meramente omissivo, qual era, in sostanzialmente commissivo, senza compiere ulteriori valutazioni sulle risultanze istruttorie al fine di verificare la concreta riconducibilità di detto comportamento all'ambito di operatività dell'articolo 2043 Cc.
5. Con il quarto motivo il Rx denuncia violazione, falsa ed erronea applicazione dell'articolo 91 Cpc, censurando che la Corte di merito abbia posto a carico degli appellati le spese dei due gradi di giudizio, ancorché la domanda della banca appellante fosse stata accolta solo in parte, con il rigetto del capo riguardante la convalida del sequestro conservativo.
6. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
Il difetto del contraddittorio per violazione del litisconsorzio necessario, non costituendo un'eccezione in senso proprio, può essere rilevato d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio e dedotto per la prima volta anche nel giudizio di legittimità. In quest'ultimo caso, tuttavia, la relativa eccezione può essere formulata soltanto alla duplice condizione che gli elementi di fatto posti a fondamento della stessa emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito, senza quindi la necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriore attività istruttoria, non consentite in sede di legittimità, e che sulla questione non si sia formato il giudicato ( ex plurimis Cassazione 10649/04, 12462/03, 11415/03, 593/01). In particolare, non è ammessa nel giudizio di cassazione la produzione di un nuovo documento per dimostrare la necessità di integrazione del contraddittorio nei precedenti gradi del processo, poiché tale documento non riguarda l'ammissibilità del ricorso o del controricorso e neppure la nullità della sentenza impugnata (articolo 372 Cpc) (Cassazione 2478/87).
Nella specie, non può tenersi dunque alcun conto dello "stato di famiglia" di Vincenzo Rx rilasciato dal Comune di Catania il 27 luglio 2002 - posteriormente, dunque, al deposito della sentenza impugnata - prodotto dal ricorrente Giovanni Rx a sostegno dell'assunto della necessità di integrare il contraddittorio, in grado di appello, anche nei confronti di Giuseppe e Salvatore Rx, quali figli ed ulteriori eredi legittimi della defunta Maria Col., originaria convenuta.
Né, d'altra parte, l'esistenza di tali ulteriori eredi emerge con ogni evidenza dagli atti ritualmente acquisiti nel giudizio di merito - cui questa Corte ha accesso, a fronte della deduzione di un error in procedendo - giacché, al contrario, nel certificato anagrafico del luglio 1998, prodotto in grado di appello, sulla cui base la Corte d'appello di Catania dispose l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi della Col. non volontariamente intervenuti, i predetti Giuseppe e Salvatore Rx non figuravano.


 

7. Il secondo motivo è infondato.
Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale il Banco di X. aveva allegato, a fondamento della propria domanda risarcitoria, la mancata comunicazione ad opera della Col. - in occasione della duplice richiesta di concessione di credito presentata assieme al marito - dell'avvenuta dichiarazione di fallimento di costui: circostanza che, ove conosciuta dalla banca, l'avrebbe senz'altro indotta a respingere la richiesta stessa.
Nell'atto di citazione in primo grado - cui questa Corte ha nuovamente accesso diretto, stante la natura del vizio denunciato - la banca aveva bensì dedotto che il denunciato comportamento implicava "anche" una violazione dell'articolo 95 della legge bancaria del 1938, in tema di mendacio bancario: formula che rendeva peraltro palese come l'attrice non intendesse affatto basare solo su tale disposizione, di natura penale, la propria istanza risarcitoria.
Il motivo di appello - poi accolto, in parte qua , della Corte territoriale - con cui la banca, a fronte della pronuncia a sé sfavorevole del Tribunale (motivata con l'asserita non configurabilità, nella specie, dell'anzidetta ipotesi criminosa), aveva sottolineato che le "responsabilità civilstiche" che essa appellante aveva inteso far valere "nascono genericamente dalle norme sui principi di buona fede contrattuale e dal disposto dell'articolo 2043 Cc in materia di risarcimento per fatto illecito", non implicava dunque affatto la proposizione di una domanda nuova, ma si limitava ad esplicitare la qualificazione giuridica della domanda, già trasmessa al giudice in prime cure tramite la prospettazione dei relativi fatti costitutivi.

8. Anche il terzo motivo è infondato.
L'istanza risarcitoria della banca poggia, in effetti, sulla deduzione di una fattispecie riconducibile al paradigma del dolo omissivo causam dans : il consenso alla stipulazione dei contratti di mutuo per cui è causa sarebbe stato infatti carpito dall'originaria convenuta grazie alla dolosa reticenza su una circostanza decisiva (articolo 1439 Cc).
In tali termini, la domanda è pienamente ammissibile: il contraente il cui consenso risulti viziato da dolo può bene richiedere giudizialmente il risarcimento del danno conseguente all'illecito della controparte lesivo della libertà negoziale, sulla base della generalissima previsione in tema di responsabilità aquilana di cui all'articolo 2043 Cc (discutendosi di condotta anteriore e prodromica alla formazione dell' in idem placitum consensum), a prescindere dalla contemporanea proposizione della domanda di annullamento del contratto ai sensi del citato articolo 1439 Cc (Cassazione 921/80, 2445/68).
Quanto, poi, alla effettiva configurabilità del denunciato vizio del consenso, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la reticenza o il silenzio possano integrare il dolo omissivo, ma solo qualora il comportamento passivo si inserisca in una condotta che si configuri, in rapporto alle circostanze e al complesso del contegno che determina l'errore del deceptus , quale malizia o astuzia volta a realizzare l'inganno perseguito ( ex plurimis , Cassazione 9253/06, 2104/03, 6757/01, 8295/94).
Tanto premesso, si deve osservare come il motivo di ricorso in esame risulti, nella sua prima articolazione, meramente ripetitivo del precedente, tornando il ricorrente a dolersi della pretesa estraneità della disposizione di cui all'articolo 2043 Cc al titolo giuridico invocato dalla banca in prime cure a fondamento della domanda: allegazione della quale si è già acclarata l'infondatezza.
Con la seconda parte del motivo, si censura invece che la Corte territoriale abbia "trasformato" la condotta della Col. da meramente omissiva in commissiva "sulla base di semplici presunzioni", "omettendo ogni altra valutazione sulle risultanze istruttorie al fine di fare rientrare" la condotta stessa "nell'ambito di operatività dell'articolo 2043 C .C.".
La doglianza non ha peraltro pregio, giacché la Corte d'appello ha motivato la propria conclusione con la considerazione che il silenzio serbato dalla convenuta in ordine alla circostanza de qua si era maliziosamente inserito in una condotta complessivamente commissiva volta a conseguire un risultato che sarebbe stato altrimenti negato ai richiedenti, consistente segnatamente nel rappresentare una situazione personale e patrimoniale dei medesimi non rispondente al vero. A fronte di tale assorbente rilievo, non interessa dunque in questa sede verificare se sia condivisibile o meno l'ulteriore affermazione della Corte territoriale - che integra una mera argomentazione ad abundantiam - stando alla quale la condotta in parola, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, integrerebbe comunque anche una violazione dell'articolo 95 della legge bancaria.
Per il resto, la censura si palesa affatto generica, dato che il ricorrente non indica - in violazione dei principi di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione - di quali altre "risultanze istruttorie" la Corte territoriale avrebbe omesso di tenere conto nel formulare il giudizio dianzi ricordato.
Giova solo aggiungere, per completezza, come il Rx non abbia formulato censure sul punto relativo alla mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, della eventuale colpa della banca (anche in riferimento alla previsione dell'articolo 1338 Cc) nel non essersi avveduta, a mezzo dei propri canali informativi, dello status di fallito del Rx (al riguardo, nel seno che nell'ipotesi di dolo, tanto commissivo che omissivo, gli artifici, i raggiri, la reticenza o il silenzio debbono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte, onde stabilire se fossero idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, per tutte, Cassazione, 20792/04). Con la conseguenza che tale profilo resta estraneo all'odierno thema decidendum .
9. Il quarto motivo è parimenti infondato.
La Corte territoriale ha motivato, infatti, in modo del tutto logico e congruente la statuizione sulla spese, rilevando come, a fronte dell'integrale accoglimento della domanda risarcitoria, la domanda di convalida del sequestro, oltre a risultare "marginale", non fosse stata comunque accolta solo per factum principis (la sopravvenienza del DI 571/94).
10. Il ricorso principale va quindi conclusivamente rigettato.
11. Il ricorso incidentale condizionato inammissibile, non avendo il Banco di X. provveduto alla sua notificazione a Rosa Carmela, Rosario ed Elena Rx, specificamente richiesta da questa Corte, a fini di integrazione del contraddittorio, con l'ordinanza interlocutoria dell'11 gennaio 2006 ( ex plurimis Cassazione 5125/00).
12. Le spese processuali relative al contraddittorio ed alle successive difese del Banco di X., liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico del Rx in base al principio della soccombenza, senza che possa assumere rilievo - ai fini di una eventuale compensazione, totale o parziale - la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale, il quale, per il suo carattere condizionato, sarebbe rimasto comunque assorbito dal rigetto del ricorso principale.
                                                                                         PQM
La Corte riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale, condanna Giovanna Rx al rimborso delle spese processuali in favore del Banco di X. Spa, liquidate in euro 2600 (di cui euro 100 per esborsi ed euro 2500 per onorari) oltre spese generali ed accessori di legge.

 

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