11..febbraio..2007 L'appalto: i rimedi a tutela del committente

L'appalto è una figura contrattuale tipica prevista dall'art. 1655 del codice civile che ne ravvisa la funzione economica nello scambio del compimento di un'opera o di un servizio (a carico dell'appaltante-imprenditore) verso un corrispettivo in danaro (a carico del committente).
La peculiarità dell'appalto consta nell' obbligazione dell'appaltante che si specifica in un obbligo di fare, appunto, un'opera od un servizio. Si differenzia, pertanto, dalla vendita di cosa futura poiché, quest'ultima ha come obbligazione principale quella di dare e non di fare.
L'obbligazione di fare deve essere sempre prevalente per potersi configurare l'appalto, anche se questa spesso può essere accompagnata da una datio rei come nei casi frequenti in cui l'appaltante oltre all'opera da costruire deve provvedere anche a fornire le materie prime.
Il codice civile prevede diversi rimedi a tutela della posizione del committente:
1) primo fra tutti è il diritto di recesso unilaterale ad nutum a favore del committente previsto dall'art. 1671 c.c. secondo cui "il committente può recedere dal contratto anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purchè tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno". Il codice prevede, pertanto, il diritto del committente a recedere unilateralmente dal contratto di appalto anche ad esecuzione già iniziata e anche contro la volontà dell'appaltante. La previsione di tale facoltà, che può essere dirompente per l'appaltatore, si giustifica nella natura del rapporto fiduciario che sottende l'appalto. Il committente che non "si fida" più dell'appaltatore può recedere dal contratto ed è tenuto solamente ad indennizzare del danno emergente e del lucro cessante l'appaltatore stesso. Il committente non è tenuto a fornire una giusta causa, ma se questa sussiste, come ad esempio una cattiva o ritardata esecuzione dell'appalto, allora sarà determinante nella quantificazione dell'ammontare indennitario che potrà essere inferiore a quello altrimenti spettante all'appaltante o interamente compensato dall'entità dei danni subiti dal committente. Dottrina e giurisprudenza propendono per la derogabilità generale in via pattizia sia della previsione legale del recesso che di quella per l'indennità. Anche se l'esclusione totale del diritto di recesso o d'altro canto del diritto all'indennità potrebbero eludere i principi generali sottesi dall'ordinamento come ad esempio quello di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.: in sede di stipula di un contratto d'appalto si consiglia non di escludere ma di regolare tale diritto con limitazioni temporali riguardo al recesso e con specificazioni quantitative riguardo all'ammontare dell'indennità.
2) Al committente spettano inoltre i rimedi generali previsti dall'ordinamento in caso mi mancato, inesatto o ritardato adempimento da parte dell'appaltante: quelli di rivendicare la risoluzione del contratto, o in alternativa l'adempimento oltre al risarcimento del danno. Si rammenta che in assenza di una clausola risolutiva o di un termine essenziale l'inadempimento o il ritardo nell'adempimento possono condurre alla risoluzione solo se di "non scarsa importanza".
3) Il codice poi prevede altri rimedi specifici a tutela del committente: quest'ultimo è garantito, infatti, per le difformità ed i vizi dell'opera commissionata ex art. 1667 ed 1668 c.c.; il committente, qualora l'opera non sia stata eseguita a regola d'arte può chiedere in alternativa all'appaltatore o l'eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo. Si tratta in tal caso di vizi suscettibili di eliminazione e comunque non essenziali poiché altrimenti, se tali da rendere l'opera inidonea all'uso a cui è destinata, il committente potrà chiedere la risoluzione del contratto. A tali rimedi alternativi si aggiunge il via cumulativa il risarcimento del danno che verrà rivendicato dal committente quando lo stesso subisca un danno ulteriore rispetto a quello inerente strettamente al vizio: si pensi al caso in cui un vizio ad una parte di un macchinario determini la distruzione di tutto il macchinario stesso e conseguentemente la sospensione della produzione di un impresa per un mese. In tal caso il committente potrà rivendicare il risarcimento del danno emergente relativo al valore del macchinario oltre al mancato guadagno per la sospensione della produzione.
È opportuno in tale sede riportare una recente sentenza della Suprema Corte che estende l'applicazione dei termini di decadenza e di prescrizione rispettivamente di 60 giorni e due anni ex'art. 1667 c.c. per far valere la garanzia per le difformità ed i vizi anche all'azione di risarcimento del danno: "l'azione di risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore prevista dall'art. 1668 primo comma c.c. in favore del committente è soggetta, al pari delle altre azioni costituenti il contenuto della garanzia per i difetti dell'opera cui è tenuto l'appaltatore, all'osservanza dei termini di decadenza e di prescrizione stabiliti dall'art. 1667 c.c." (Cass. 22 dicembre 2005, n° 28417).
4) concludendo il legislatore, infine, prevede un' ulteriore responsabilità decennale dell'appaltatore-costruttore a tutela del committente per la rovina o i vizi dell'opera realizzata quando si tratti di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata.

Avv. Michele Mirante



 

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