Locazione commerciale: Il conduttore moroso ha diritto alla riduzione del canone per covid.

E' fatto notorio che tutte le attività commerciali hanno subito dapprima un'interruzione totale dell'attività per circa tre mesi, da marzo a maggio 2020, e, successivamente, con l'avvento della cosiddetta fase 2, da fine maggio 2020 ed a tutt'oggi, una limitazione dell'attività dovuta a restrizioni in termini di contingentamento e di limiti di accesso della clientela.

Nuove chiusure si sono imposte per gli esercenti ed i negozianti, tra cui ristoratori, albergatori ect. da novembre 2020 con l'attività commerciali ubicate nelle zone rosse od arancioni.

Ciò ha implicato una inutilizzabilità, totale e/o parziale, dei locali oggetto di locazione, tra i quali, ristoranti, bar, palestre, centri estetici, alberghi, bed and breakfast, negozi di abbigliamento etc, ed ha inciso fortemente sulla capacità reddituale degli imprenditori determinando anche, conseguentemente, la loro incapacità ad assolvere ai loro obblighi e debiti.

A fronte ed in risposta alle sopravvenienze pandemiche l'orientamento giurisprudenziale univoco è stato quello di riconoscere, ai conduttori di immobili commerciali, il diritto di vedersi rinegoziare il contratto di locazione e, nello specifico, di vedersi ridurre il canone di locazione in un'ottica di conservazione del rapporto di locazione, ed è stato quello specularmente di ritenere i locatori obbligati a rinegoziare il contratto ed a ridurre il canone di locazione.

Sull' obbligo di di riduzione del canone di locazione, si è pronunciato l'Ufficio del Massimario della la Corte di Cassazione che, con la sua Relazione Tematica n° 56 del 8 luglio 2020, ha approfondito il tema dell'impatto dell'emergenza pandemica del virus covid-19 sui contratti commerciali.

La Suprema Corte ha affermato l'esistenza del diritto della parte svantaggiata, nel caso di specie il conduttore, ed al contempo un obbligo della parte avvantaggiata, nel caso di specie il locatore, a rinegoziare il contratto, secondo il principio di buona fede oggettiva, in modo da ripristinarne l'equilibrio sperequato dalla situazione pandemica e dalla crisi economica che ne è derivata.

Ed ha affermato che, laddove le parti non addivengano ad una rinegoziazione il giudice, pur nel rispetto della libertà negoziale delle parti, può alle stesse sostituirsi in modo da ricondurre il contratto ad equità adattandolo alle sopravvenienze economiche dovute alla crisi in atto.

La Relazione della Cassazione va ad esaminare tutti i contratti aziendali con un'attenzione particolare ai contratti di locazione commerciale e, seppur non assurge a valore di sentenza, assume una valenza di indirizzo giurisprudenziale molto rilevante a cui dovranno attenersi tutti gli operatori del diritto, compresi i giudici.

Tale relazione assume una portata innovativa laddove afferma il diritto della parte svantaggiata a vedersi rinegoziare il contratto, in virtù del principio di conservazione del medesimo e del principio della buona fede, onde ripristinare l'equilibrio sperequato dalla diffusione pandemica in corso e dalle sue incidenze nel mercato economico e, soprattutto a vederselo "rinegoziare" dal giudice, con una sentenza costitutiva, in caso di fallimento delle trattative di rinegoziazione.

Senonché la Corte, fornisce una rimedio innovativo alla problematica creatasi teso al mantenimento dei rapporti contrattuali in attesa che la fase emergenziale e, più in generale, il periodo di crisi economico-finanziaria ad essa conseguente, cessino.

Altrimenti afferma la Corte, sciogliere i contratti di locazione, per effetto della situazione pandemica e delle misure contenitive della medesima, significherebbe "fare terra bruciata delle relazioni d'impresa" con conseguente dispersione aziendale e desertificazione del tessuto produttivo. "Ma non è certo questo di cui hanno bisogno gli imprenditori in questo difficile periodo".

In tale ottica la Corte continua nel ritenere che il "nostro ordinamento (artt. 1467 c.c. 1664 c.c.) privilegia la conservazione del contratto mediante revisione, rispetto alla caducazione del rapporto negoziale" e che è proprio l'art. 1467 c.c. a contemplare un principio generale di preservazione dell'equilibrio del contratto, principio che reca in se un possibile sviluppo: "quello della riconduzione del contratto ad equità attraverso la rinegoziazione". E principio, quest'ultimo, che risponde al principio generale del dovere delle parti di comportarsi in modo corretto ed in buona fede, ex artt. 1375 e 1175 c.c., e quindi di adottare una condotta ispirata alla "correttezza, con le sue regole, ivi compresa quella sul dovere di rinegoziare un contratto sperequato". 

La rinegoziazione, pertanto, a fronte di sopravvenienze che alterano il rapporto di scambio, diventa, pertanto, un passaggio obbligato, che serve a conservare il piano di costi e ricavi originariamente pattuito, con la conseguenza che chi si sottrae all'obbligo di ripristinarlo commette una grave violazione del regolamento contrattuale.

Violazione in cui, spesso sono incorsi ed incorrono i locatori che rifiutano qualsiasi trattativa negoziale volta alla riduzione del canone di locazione ed, invece, chiedono, in modo scorretto ed il mala fede e quindi in spregio all'art. 1375 c.c., la restituzione dei locali e quindi la cessazione del rapporto di locazione.

In tali casi in conduttore, quale contraente svantaggiato può chiedere non solo "il risarcimento del danno ma anche l'esecuzione specifica della rinegoziazione ai sensi dell'art. 2932 c.c.".

In contraente svantaggiato in altri termini potrà invocare la riconduzione ad equità del contratto squilibrato, quale rimodulazione estensiva dell'art. 2932 c.c., con la conseguenza che tale rimedio, come ritenuto dalla Corte, "anche se non assicura che la parte che subisce la sentenza adempia le nuove condizioni da essa stabilite, consente, per il caso in cui si rifiuti di rispettarle, una commisurazione agevole e maggiormente attendibile del danno risarcibile".

A rafforzamento delle argomentazioni suddette, di seguito si riportano le decisioni di vari Tribunali Italiani che, in accoglimento dell'orientamento della Suprema Corte, accolgono le istanze dei conduttori sperequati dalle sopravvenienze pandemiche e riducono il canone di locazione a causa delle limitazioni governative impeditive e limitative delle attività commerciali:

- il Tribunale di Roma con Ordinanza relativo al procedimento n° 18779 del 2020 dottor Miccio del 29 maggio 2020 ha ritenuto che, essendo pacifica dal 10 marzo al 18 maggio la sospensione del commercio al dettaglio dei generi di non prima necessità, che, trattandosi di una impossibilità parziale e temporanea ex art. 1464 c.c., può ipotizzarsi una riduzione del 70% del canone per il periodo di blocco;

- il Tribunale di Roma con Ordinanza n° 29683 del 2020 dott.ssa Grauso del 27 agosto 2020 ha ritenuto che,

a) la parte contrattuale favorita non ha ottemperato all'obbligo, derivante dalla clausola generale di buona fede e correttezza, di ricontrattare le condizioni economiche del contratto di locazione, a seguito delle sopravvenienze legate all'insorgere della pandemia per covid-19; che

b) la chiusura delle attività commerciali deve considerarsi una sopravvenienza rispetto al presupposto fattuale e negoziale del pieno godimento dell'immobile per lo svolgimento dell'attività produttiva; che

c) la parte svantaggiata dalla sopravvenienza pandemica del covid-19 deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto del contratto in base al dovere generale di correttezza e di buona fede oggettiva nella fase esecutiva del contratto (1375 c.c.); che

d) data la mancata rinegoziazione del contratto, ha ritenuto ricondurlo ad equità ed ha pertanto disposto la riduzione del canone di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20% per i mesi da giugno e fino a marzo 2021 essendo anche dopo la riapertura dell'esercizio commerciale, l'accesso della clientela contingentato per motivi di sicurezza sanitaria;

MA COME SI DIFENDE IL CONDUTTORE SE PRIMA DI OTTENERE LA RIDUZIONE DEL CANONE RICEVE L'ATTO DI INTIMAZIONE E CONVALIDA DELLO SFRATTO PER MOROSITA'?

Il conduttore in tal caso può evitare lo sfratto per morosità.  

La Giurisprudenza, con numerose sentenze dei Tribunali Italiani, è ormai univoca nel ritenere che tutte le misure restrittive ed impeditive, governative e regionali, che hanno limitato l'utilizzabilità, in toto o in parte, della cosa locata da marzo ad oggi e che hanno quindi imposto la chiusura delle attività commerciali assurgono ai "gravi motivi" di cui all'art. 665 c.p.c. e come tali sono ostativi alla convalida di sfratto ed ostatvi alla cessazione del rapporto di locazione.

Se, pertanto, si è ricevuto un atto di intimazione di sfratto per morosità e la propria attività commerciale è stata in tutto o in parte chiusa da marzo in poi a causa dei provvedimenti restrittivi del Governo e della Regione, ci si può opporre alla convalida di sfratto per morosità con la conseguenza che il conduttore potrà continuare ad esercitare l'attività commerciale, pur se moroso per alcuni canoni.

A seguito dell'opposizione alla convalida di sfratto per morosità seguirà un giudizio ordinario in cui il conduttore chiederà la riduzione del canone di locazione in modo che, una volta ottenuta la diminuzione del canone, da marzo 2020 ad oggi, si vedrà diminuire ed a volte anche annullare la morosità con l'effetto che spesso non dovrà dare nulla al locatore.

In tal senso la Ordinanza del Tribunale di Venezia secondo cui i "provvedimenti restrittivi emanati nei mesi di marzo, aprile e maggio" che hanno determinato la totale inutilizzabilità dell'immobile locato "depongono per la sussistenza di gravi motivi ex art. 665 c.p.c.".

Ed in tal senso un ulteriore Ordinanza del Tribunale di Palermo del 25 settembre 2020 relativa al procedimento n° 10644 del 2020 R.G., secondo cui: "ritenuto che nella fattispecie oggetto del presente giudizio non può ritenersi sussistente un inadempimento grave del conduttore, stante la grave situazione di emergenza sanitaria a causa del Covid-19, che ha portato all'adozione dei provvedimenti governativi di chiusura degli esercizi commerciali per più di tre mesi;  ritenuti, pertanto, sussistenti i gravi motivi che impediscono l'emissione dell'ordinanza provvisoria di rilascio ai sensi dell'art. 665 c.p.c. si rigetta la richiesta di emissione della convalida di sfratto per morosità. 

Il decisum del Tribunale siciliano è importante poiché oltre a constatare la sussistenza di "gravi motivi" ex art. 665 c.p.c., impeditivi dell'ordinanza di rilascio, configurandoli nei provvedimenti governativi di chiusura degli esercizi commerciali per più di tre mesi, ha altresì ritenuto non grave l'inadempimento del conduttore sia per i suddetti provvedimenti restrittivi ed anche alla luce dell'art. 91 D.L. 17 marzo 2020 n° 18, che esclude la responsabilità del debitore da inadempimento (penali, ritardi, decadenze) essendo questo causato dalla diffusione pandemica e che, nel caso di specie, esclude l'esito risolutivo del rapporto di locazione.

Ed infine il Tribunale di Napoli che con Ordinanza del 15 luglio 2020 relativa al procedimento n° 12292/2020 R.G. che ha rigettato la richiesta di parte intimante volta alla concessione dell'ordinanza provvisoria di rilascio in base alla sussistenza di gravi motivi ostativi all'emanazione del relativo provvedimento data "la particolare situazione di crisi economica sociale dovuta alla nota pandemia da covid 19 che ha portato alla chiusura di tutte le attività economiche per un periodo di tempo apprezzabile".

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Roma, 13 dicembre 2020
Avv. Michele Mirante

 

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